La leggenda
Secondo una tradizione inveterata, che tuttavia non ha alcun fondamento, il volo del ciuco a Empoli avrebbe avuto inizio come sberleffo contro i Sanminiatesi nel 1397, all’indomani della fallita ribellione di questo comune al dominio della repubblica fiorentina, fallimento a cui gli Empolesi, ed in particolare tal Cantino Cantini da Monterappoli, avevano dato un notevole contributo.
La leggenda nacque nel secolo XVII e trovò subito un seguito pressoché unanime, anche fra l’élite colta della città. Si basava su un poemetto eroico-comico di Ippolito Neri (1652-1709), intitolato La presa di Saminiato, che si colloca all’interno di un filone letterario in voga nei secoli XVI-XVII.
Il Neri traeva spunto per il suo poema da un episodio realmente accaduto nel 1397, la riconquista di San Miniato da parte della repubblica fiorentina, con il concorso determinante dei soldati inquadrati nella lega d’Empoli, ma forzava volutamente il dato storico e lo arricchiva di aneddoti inventati appositamente per suscitare l’ilarità del pubblico.
Particolare successo ebbe l’episodio del gregge di capre, con lumicini appesi alle corna, fatto disporre di notte nella pianura antistante la rocca di San Miniato, per suscitare l’impressione di un numeroso esercito in agguato ed indurre i Sanminiatesi alla resa che così recitava:
Canto l’eccelsa e singolar impresa
di Saminiato e il Capitan Cantini,
e canto la terribile difesa
che fero i valorosi cittadini;
dirò la stratagemma ordita e tesa
di tante corna e tanti lumicini,
e dirò come il vincitor drappello
riportò il memorabil chiavistello.
La leggenda del volo del ciuco in particolare sarebbe derivata dalle parole pronunciate, secondo il poema, da Silvera, la colonnella saminiatese, che ebbe a dichiarare:
… che gli asin pria volar di posta
si vedranno pel ciel da Battro a Tile
che la forte città coi suoi paesi
cada in poter già mai degli empolesi.
Ma l’episodio è privo di qualsiasi fondamento storico, come dimostrano le ricostruzioni storiche di Scipione Ammirato e di altri storici. La ribellione di San Miniato nella ricostruzione di questi ultimi appare del tutto diversa dalla narrazione di Ippolito Neri: si trattò di un episodio limitato, poco più dell’alzata d’ingegno di un singolo individuo: Benedetto Mangiadori, esponente di una delle più importanti famiglie della città, che, con un gruppo di accoliti, penetrò nel palazzo pretorio di San Miniato, ove risiedeva il rappresentante della repubblica fiorentina Davanzato Davanzati e lo gettò dalla finestra, asserragliandosi dentro, in attesa di rinforzi che non arrivarono mai. Il fatto che la popolazione sia rimasta sostanzialmente estranea a questo episodio è comprovato da una deliberazione della Repubblica fiorentina del 22 novembre 1397, con la quale si decise di donare al comune di San Miniato dei pennoni di seta, per le milizie popolari: “Essendosi il comune di S. Minato sempre comportato lealmente, soprattutto nel passato mese di febbraio quando Benedetto Mangiadori tentò di far ribellare il detto comune dal dominio fiorentino e di sottometterla a Gian Galeazzo Visconti e a Iacopo da Appiano tiranno di Pisa, pubblici nemici del comune di Firenze…”.
Cantino Cantini da Monterappoli, l’eroe del poema di Ippolito Neri, è invece un personaggio realmente esistito ed è anche vero che egli ebbe un ruolo chiave nella liberazione del palazzo pretorio di San Miniato dai suoi occupanti, ma in quest’impresa si valse dell’aiuto, non delle capre, ma delle milizie popolari inquadrate nella lega d’Empoli.
In riconoscimento del ruolo avuto in questa occasione il Cantini ottenne, insieme ai suoi familiari, il privilegio di essere annoverato fra i “nobili del contado”, categoria giuridica che godeva anche di benefici fiscali.
L’organizzazione
Sgombrato il campo dagli aspetti romanzeschi, vediamo nel concreto l’organizzazione della festa. L’apparato organizzativo della festa del Corpus Domini era molto semplice: un mese prima all’interno della compagnia di sant’Andrea venivano scelti 4 festaioli, ai quali si poneva come unico limite il contenimento della spesa entro le 50 lire. L’iscrizione a bilancio delle spese relative alla festa era molto stringata, sia al tempo in cui veniva organizzata dalla compagnia di sant’Andrea, quanto in seguito, quando ad occuparsene fu l’opera di sant’Andrea, come si vede dagli esempi proposti, tratti dai documenti dell’archivio della Collegiata di sant’Andrea:
spese per l’anno 1563 [a cura della compagnia di sant’Andrea]
once 4 d’incenso
5 some di mortella (arbusto palustre, usato presumibilmente per addobbare la chiesa)
libbre 12 di falcole (=fiaccole) e candele per la processione
elemosine a preti e chierici
piccie 2 di pane ai frati di Santa Maria e 3 fiaschi di vino
fornimento (= addobbo) dell’altare
lire 2 a Betto di Carraia per l’asinino
A Ludovico Cappietti per valuta di un canapo nuovo per il volo del somaro
spese per l’anno 1856 [a cura dell’opera di sant’Andrea]
pel somaro e trasporto di questo in campanile lire 11
al volatore lire 4
a chi sta al verrocchio lire 4
La abolizione del volo del ciuco
Nonostante quanto detto finora, nessuno pensò di indagare le vere origini del volo del ciuco e quando nel 1861 si decise di abolirlo, lo si fece sulla base della tradizione orale che ne attribuiva le origini alla guerra con San Miniato. Il 17 marzo di quell’anno era infatti avvenuta la proclamazione del regno d’Italia e, nel clima patriottico e pervaso di nuovi valori, alcuni spettacoli popolari – come il volo del ciuco – apparvero retaggio di un’epoca di oscurantismo e campanilismo da lasciarsi ormai definitivamente alle spalle.
Il volo del ciuco fu effettuato per l’ultima volta il 30 giugno 1861. Calava così il sipario su uno spettacolo che con i suoi pregi ed i suoi difetti aveva intrattenuto gli Empolesi per cinque secoli.
a cura di Vanna Arrighi
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