In pochi conoscono o hanno sentito nominare la famiglia Cella nella storia di Empoli. Si tratta infatti di una famiglia che visse nella nostra città tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Settecento e della quale, in seguito, non si avranno più notizie. Nonostante questo, i Cella svolsero un ruolo di grande importanza nella storia empolese, imparentandosi anche con le più importanti famiglie locali, come i Marchetti. Questo fatto, unito alla grande ricchezza di cui godeva la famiglia (grazie al commercio) la rendono un sicuro oggetto di interesse di cui parlare.
Il Figlinesi, nelle sue Notizie, dice che i Cella erano originari di Varana, località del ducato di Milano, senza tuttavia offrire indizi sul periodo del loro arrivo a Empoli. I documenti presi in esame sembrano dare ragione al Figlinesi: è possibile che i Cella fossero effettivamente “milanesi”. Un indizio è offerto dai numerosi e frequenti contatti con altri artigiani operanti negli stessi anni a Empoli e provenienti dal ducato di Milano; inoltre le frequenti tracce di velettai provenienti dalla Lombardia spagnola e/o veneziana testimoniano una numerosa presenza di artigiani lombardi arrivati in Toscana nella seconda metà del XVI secolo, in cerca di migliori opportunità lavorative. Anche i Cella erano velettai, ovvero artigiani specializzati nella lavorazione e vendita di veli e velette, tessuti fini fatti di seta o di lino; sulla loro figura venne scritta anche una commedia da Niccolò Masucci, chiamata appunto “Il velettaio”.
Il primo documento conosciuto che parla della famiglia Cella è del 1588. Si tratta di una lettera inviata dalla Mercanzia di Firenze al podestà di Empoli affinché facesse catturare Niccolò del Pancetta, riconosciuto legittimo debitore di “Giovanmaria Cella e fratelli velettai in Empoli” per lire 171. Nel 1594 gli stessi fratelli intentarono un’altra causa contro tale Lorenzo Santini da Gattaia. Tra i fratelli spicca la figura di Giovanbattista Cella, la cui attività negli stessi anni è testimoniata da tre documenti: un elenco del 1589 composto da linaioli e velettai operanti a Empoli, la sua iscrizione nelle matricole dell’Arte della Seta a Firenze nel 1592 e una citazione della stessa Arte del 1603 per rispondere a una querela.
I documenti dicono che proprio con Giovanbattista la famiglia Cella, o almeno un suo ramo, fece un salto di qualità su più fronti. Giovanbattista aveva sposato Amedea, figlia di Alessandro Cresci di Empoli, che aveva pagato ben 240 scudi per la dote della figlia. Il matrimonio doveva essere per entrambe le famiglie un affare: agli inizi del Seicento il Cella doveva essere considerato infatti una delle personalità di spicco della terra di Empoli non solo dal punto di vista economico, ma anche politico e sociale. A questo proposito un’importante testimonianza è offerta dalla sua elezione a procuratore del Monte Pio nel 1601: con 21 voti favorevoli e 5 contrari all’interno del consiglio generale di Empoli, risultava il candidato più gradito per occupare una carica di rilievo, a cui di solito accedevano persone benestanti o ricche.
L’ascesa sociale di Giovanbattista Cella non si fermò all’ambito locale: nel 1619 ottenne infatti la cittadinanza fiorentina. Dall’unione con Amedea Cresci nacquero almeno tre figli: due maschi, Alessandro e Gaspare e una femmina, Elisabetta. Il coronamento della fortuna politica e economica della famiglia Cella fu il matrimonio tra Elisabetta e Matteo di Pierfrancesco Marchetti, con il pagamento di una dote di 3.000 scudi da parte di Giovanbattista per la figlia. Morto Matteo, sarà la stessa Elisabetta nel 1628 a citare in giudizio gli eredi Marchetti presso il tribunale della Mercanzia per ottenere l’intera somma. Oltre alla consistenza della dote versata, da notare è l’imparentamento dei Cella con una delle più importanti famiglie di Empoli, la stessa che successivamente confluirà nei Salvagnoli.
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