Alessandro e Gaspare, figli di Giovanbattista Cella, ereditarono l’attività paterna che dagli anni ’20 e per tutti gli anni ’40 del Seicento conobbe una grande crescita. Nel 1628 Gaspare Cella, insieme ad altri compagni, intentò due cause commerciali presso il tribunale della Mercanzia, che mostrano l’allargamento degli interessi economici dell’attività, non più certamente ristretti all’ambito locale. D’altronde, sempre il Figlinesi sostiene come, almeno dal 1637, Gaspare Cella avesse aperto una bottega di velettaio anche a Firenze. Non sembra tuttavia che la famiglia si sia trasferita stabilmente in Città: la presenza ad Empoli di Gaspare e Alessandro è certa nel 1625-26, confermata da due documenti del podestà. Certo è che nel 1627 Alessandro e Gaspare dettero in accomandita a Martino Ronchi la somma di 8.416 ducati per tre anni, per esercitarli a Empoli in negozio di velettaio.
Dal momento che proprio il Ronchi, anch’esso proveniente dal ducato di Milano, viene indicato nei documenti podestarili e dallo stesso Figlinesi come il “ministro” della bottega dei Cella, è possibile che questi abbia tenuto la medesima in accomandita fino al 1648, anno in cui compare la disdetta della stessa oltre ad un sequestro di denaro promosso in Mercanzia dai due fratelli contro il Ronchi per inadempienze circa la sua carica di ministro e compagno. La grande quantità delle cause intentate presso il tribunale della Mercanzia di Firenze ci testimonia comunque la grande fortuna economica che i Cella seppero costruire negli anni ’40 del Seicento.
Nel 1650 Alessandro e Gaspare davano in accomandita ad un altro velettaio proveniente dal milanese e abitante ad Empoli, Antonio di Paris Zucchi, 3.479 scudi per esercitarli in loco in negozio di velettaio. Si tratta indubbiamente di cifre significative, testimoni della fortuna commerciale dei Cella in anni considerati di grande crisi sia economica che sociale e demografica. Dalla imposizione della fogna del 1649 sappiamo che la bottega dei Cella si trovava in piazza Farinata degli Uberti, approssimativamente vicino al canto degli Zolfanelli.
Gaspare sposò Maddalena Fabbri e dalla loro unione nacquero almeno sei figli: Giovanbattista, Giovanmaria, Santi Maria, Piergiuseppe, Matteo e Giovanpietro. Matteo morì tuttavia in giovane età mentre Piergiuseppe viene indicato, all’interno degli elenchi dei cittadini fiorentini, come “frate” anche se non sappiamo con esattezza in quale fondazione e ordine servisse. Giovanbattista, esattamente come il nonno paterno di cui portava il nome, si cimentò negli affari di famiglia: compare in alcune cause in Mercanzia a nome del padre e dello zio e in prima persona nel 1648 per sciogliere la già citata accomandita data a Martino Ronchi. La sua importanza e visibilità ad Empoli è testimoniata anche dalla sua presenza all’interno dell’ambasceria a cavallo che nel 1646 venne inviata a Firenze per scongiurare che la comunità di Fucecchio ottenesse il mercato. L’ambasceria era composta dalle personalità più in vista del luogo: insieme al Cella ne facevano parte il proposto della Collegiata Giraldi, l’arciprete Ippolito Lotti, Santi di Mariano Bonsignori, Pietro di Giovanni Bartoloni e Simone di Pasquino Falagiani.
Alla morte di Gaspare, avvenuta intorno al 1664, i figli continuarono a gestire l’attività di famiglia: a partire da questa data tuttavia le loro tracce iniziano a farsi più rade; l’ultimo documento in ordine cronologico in nostro possesso, con cui possiamo certificare la presenza di Cella a Empoli, è un atto notarile registrato il 26 maggio 1696. Dopo questa data non troviamo altre tracce lasciate dai Cella, se non la presenza di alcune donne della famiglia nei monasteri femminili di Empoli. Molto probabilmente la famiglia decise di trasferirsi altrove: lo stesso Figlinesi ci informa come alla metà del Settecento i Cella fossero “a Napoli e Milano”.
Nel corso di tre generazioni, dall’ultimo quarto del Cinquecento all’inizio del Settecento, i Cella costruirono, a partire da Empoli, una grande fortuna economica, diventando una delle più importanti famiglie del luogo. La loro vicenda risulta certamente notevole se si considerano gli anni in cui questa fortuna è stata creata: un periodo di forte crisi economica. I Cella rappresentano inoltre solo un esempio, tra molti, di ascesa economica e sociale di una famiglia empolese, come i Buonsignori, i Marchetti, i Doni, i Giomi e i Cocchi, solo per citare qualche famiglia del periodo. Non si trattò certamente di un caso o di vicende isolate ma la prova di una vitalità economica e della presenza di opportunità di ascesa sociale per le elites locali che, nella “Toscana dell’Arno” tra Prato e Livorno, sembrano, anche in un secolo di profonda crisi, non essere venute mai completamente meno.