Molto probabilmente proprio la persecuzione subita dopo il 1924 spinse Bezzi ad allontanarsi da Empoli: Mario Bini pone al 1926 un suo viaggio nel Sud America. Bezzi aveva subìto anche la revoca della licenza di pubblicista, allontanato dunque dall’attività di giornalista, così brillantemente esercitata nel 1912 come direttore del settimanale «Arno». Sembra che durante il fascismo poté scrivere per i circoli delle Associazioni venatorie: era infatti un uomo appassionato e competente in questa attività.
Al momento del referendum del 1946 sulla forma istituzionale Bezzi era rientrato a Empoli: fu lui il rappresentante per il partito dei repubblicani. L’atto di liberalità verso la città, cui legò beni nel testamento, conferma la costanza della passione civica, la fiducia in una collettività che sa rinnovarsi.
Bezzi fu massone e acattolico in modo esplicito, seguendo i congressi che si tenevano nel tempo anteriore alla partecipazione politica dei cattolici.
È, quest’ultima convinzione, un tratto della cultura di Nino Bezzi che trova la conferma più incontestabile: quella del rito funebre scelto per sé dal nostro personaggio e della cura offerta probabilmente da lui stesso per altri membri della famiglia. Le loro tombe sono visitabili nel cimitero comunale, nella cappella, appunto, degli acattolici: vi si trovano una trentina di tombe (data leggibile più antica, quella della nascita, 1847, di Emilio Montepagani, vissuto fino al 1922; la data più recente, la sepoltura proprio di Nino Bezzi, nel 1961). Le tre che sembrano dello stesso nucleo Bezzi (Antonio, il padre, vissuto dal 7 marzo 1859 al 1° maggio 1832, Manoela, date 1891-1913, e lo stesso Nino, i due forse sorella e fratello) si distinguono per essenzialità, limitandosi alla data di nascita e di morte.
A tanti anni di distanza vanno esaurendosi i ricordi di chi in Empoli aveva avuto contatti con il Bezzi, per alcuni concittadini riferiti agli anni del rinnovamento post-guerra, avendo rintracciato un solo parente, molto più giovane, che lo aveva visitato nella casa abitata nel viale della Rimembranza, testimone di un porgere garbato e autorevole e di uno studio rivestito di libri. Le memorie dei più si limitano alla moglie Margherita, alla sua fisionomia, alle abitudini modeste che ebbe dopo la morte di Nino, all’aneddoto dell’affezione per il pappagallo ammaestrato. Essa proveniva da Trieste e pare che in gioventù fosse danzatrice di professione. Non avevano avuto figli. Sopravvissuta al marito, la signora ne rispettò le disposizioni testamentarie.
Franca Bellucci
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