David Parri – Alcune notizie sulla chiesa della Bastia e sull’oratorio di San Pietro d’Alcantara all’Osteria Bianca tra Sei e Settecento. 1° parte

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Empoli – Ponte a Elsa – La Villa Del Vivo e Chiesa della Bastia. Sul verso: «96807 – XIII Ediz. Artistiche “Iris”, Riproduzione vietata / Stabilimenti Alterocca – Terni». Cartolina 90×140, viaggiata 1937, (coll. F. Pagli)

Recenti ricerche condotte dal professor David Parri nell’archivio vescovile di San Miniato hanno portato alla luce nuove e interessanti notizie sulla committenza degli arredi e le trasformazioni dell’impianto architettonico della chiesa di S. Stefano Protomartire alla Bastia, presso Ponte a Elsa, e la fondazione dell’oratorio di S. Pietro d’Alcantara all’Osteria Bianca. Il presente contributo dell’autore rielabora quanto pubblicato in  Visibile pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R. P. Ciardi e A. De Marchi, catalogo di B. Bitossi, M. Campigli e D. Parri, Cassa di Risparmio di San Miniato, 2013, pp. 173-175.

Da alcuni documenti seicenteschi, successivi alla istituzione della Diocesi di San Miniato avvenuta nel 1622, è possibile stabilire con una certa precisione la cronologia di lavori importanti per la storia di Santo Stefano protomartire alla Bastia sia dal punto di vista architettonico sia per quanto riguarda una possibile ricostruzione degli arredi interni prima delle profonde trasformazioni che modificarono l’aula liturgica. A queste informazioni, in parte già note da altre fonti documentarie confluite in indagini storiche più recenti, se ne aggiungono altre dalle quali è possibile ampliare in modo significativo le notizie conosciute collegando alla chiesa della Bastia gli interessi e le cure di famiglie illustri dell’aristocrazia fiorentina variamente intrecciate da rapporti di parentela con quegli Orlandini, poi Orlandini del Beccuto, tradizionalmente individuati come i proprietari della villa della Bastia, già definita “Palazzo” negli anni Settanta del Seicento.

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La chiesa di S. Stefano alla Bastia dopo i recenti restauri (foto tratta da www.fondazioneeterritorio.it)

Si tratta in buona parte delle carte redatte dal curato Jacopo Antonio Roffia che, dopo aver preso il possesso della parrocchiale succedendo al sacerdote Genesio Mercati, inizia nel 1647 un libro dove annota “tutte le cose attenenti a d[ett]a Chiesa” e nello specifico l’inventario degli arredi, le spese anno per anno, lo stato delle anime, i matrimoni, i cresimati, i defunti, il terrilogio e i Ricordi. Quando nel 1668, il 29 maggio, consegna alla Cancelleria diocesana il suo ampio rapporto per mettersi in regola con le indicazioni del vescovo Mauro Corsi, è dunque parroco di Santo Stefano alla Bastia da circa 22 anni.

Negli anni che vanno dal 1662 al 1664 il curato registra acquisti di suppellettili varie mentre nel 1665 vengono effettuati lavori nel campanile con la costruzione della “colombaia in cima” dove si fanno dipingere un San Giuseppe e l’arme della famiglia Roffia.[1]
Di rilevante interesse per le novità sugli aristocratici patroni della Bastia è quanto viene annotato nel 1667, l’anno al quale si deve far risalire la fondazione della cappella di Sant’Agapio voluta proprio dai proprietari della vicina villa; questo è quanto si deduce da una interessante memoria:

“1667 – In quest’anno all’istanze dell’Ill.mo Sig.r Capitano Ottavio Orlandini possessore della Villa della Bastia, havendone io pregato S.S. Ill.ma Card. Corsini ha mandato di Roma il corpo di S. Agapio martire, per collocarsi sotto l’altare maggiore e dopo le debite ricognizioni si è fatta la traslazione solenne il dì tre di maggio 1668 e la sua festa avviene alli 20 di settembre come per gli [avvisi? ndr] di sua eminenza e per la concorrenza de’ popoli è stata grandissima: si tenne esposto anco il dì 6 del med.mo, giorno di domenica p[rim]a del mese”.[2]

Nel periodo successivo alla fondazione della cappella di Sant’Agapio alla Bastia proprio in una stanza del palazzo limitrofo, oltre che sotto l’altare del santo in chiesa, si custodiscono le “masserizie” di Sant’Agapio, ovvero gli arredi sacri donati dai cosiddetti festaioli. Tra questi figurano personaggi oscuri, come un “Donato Scharselli” che ha provveduto alla cassa del santo, e membri di alcune importanti famiglie del tempo come il cavaliere Pietro Girolami, defunto nel 1674, e la signora Luisa Corsini; i due, citati come Girolami Corsini ed all’epoca forse uniti in matrimonio, donano dodici pezzi di parati di taffetà rossi e gialli; successivamente, insieme al capitano Corsini, i suddetti signori fanno fare “un baldacchino di b.[racci]a 3 per ogni verso, di taffetà chermisi”.[3]
Il dato interessante è che non esiste in queste carte dei primi anni Settanta del Seicento nessuna menzione della famiglia Orlandini. I proprietari della Villa della Bastia sembrano scomparsi dalle carte in cui si parla della cappellania di Sant’Agapio, istituzione da loro fortemente voluta.
È proprio questa particolarità, ovvero il fatto che il cognome Orlandini mai venga citato nelle carte d’archivio riguardanti la parrocchia della Bastia all’inizio dell’ottavo decennio del Seicento, che permette di identificare in parte i personaggi coinvolti nelle vicende della cappella di Sant’Agapio fondata nella chiesa di Santo Stefano. Il Pietro Girolami citato potrebbe essere il colto priore di Urbino dell’ordine di Santo Stefano che fu anche segretario del granduca Cosimo III; questi ad un certo punto assunse il cognome Orlandini, prima di morire negli ultimi decenni del XVII secolo lasciando molte opere di erudizione.[4] Nel 1664, dunque solo pochi anni prima della fondazione della Cappella, a causa della prematura scomparsa dell’ultimo degli Orlandini, il diciassettenne Fabio di Giovanni, un Giovan Battista Corsini prende anch’egli il cognome Orlandini subentrando nel fidecommesso e nello stemma di quella casata estinta.[5] Giovan Battista aveva cinque anni nel 1664 ed era figlio di Girolamo (scomparso proprio in quello stesso anno) e di Cornelia Dassi. Nel 1663, dopo la morte della madre di Giovan Battista, il padre si era risposato con una Luisa Corsini. Potrebbe essere questa la signora citata poi nei documenti in unione con Pietro Girolami e non si può escludere che agisse anche come tutrice di un Giovan Battista Corsini Orlandini ancora in tenera età.

David Parri

(continua…)

[1] Archvio Vescovile di San Miniato (d’ora in poi AVSM), Filza 521, Inventari di beni di chiese della città e Diogesi di San Miniato. La notizia si trova anche in Lastraioli 1958, p. 215, tratta dal libro campione dell’Archivio parrocchiale.

[2] AVSM, Filza 521, Inventari di beni di chiese della città e Diogesi di San Miniato.

[3] Le notizie riportate sono tratte da documenti relativi alla cappella di Sant’Agapio cuciti insieme alle carte del curato Roffia, per cui si veda Ibidem. Si tratta di un inventario ‘progressivo’ compilato dal festaiolo di Sant’Agapio Verginio Bercigli che registra l’incremento degli arredi con annotazioni variamente datate dal 1671 al 1680. Nell’inventario del 24 aprile 1674, si dice che i dodici pezzi di taffetà sono stati fatti “dalla buona memoria del Sig. Cavaliere Pietro Girolami” e Luisa Corsini. Per l’esecuzione del baldacchino, nella commissione del quale interviene anche il capitano Corsini, lo stesso inventario riporta i nomi di Maria Vincenza Antonini, Caterina di Domenico Chelliguzzi, Maria Bernini, Elisabetta di Santino Rigorni e Caterina Carlesi che lavorarono “per limosina ad onore del santo”.

[4] Per le citazioni e le notizie relative a Pietro Girolami si Veda Negri 1722, p. 464. Nell’elenco delle opere il Negri riporta una Miscellanea di più sorti d’Erudizioni che raccoglie le studiose fatiche del Girolami Orlandini. Questa contiene, tra altre, la Orationem in tradendis doctoratus infulis Octavio Corsini Camerae Apostolicae Clerico dignissimo.

[5] Per le notizie sulla famiglia Corsini si veda Passerini 1858. Le notizie su Giovan Battista si trovano ivi, p. 135. Si veda anche Baldassarri 1990, p. 34.

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