Samuela Marconcini affronta questo argomento nella sua ricerca La Casa dei catecumeni di Firenze. Storia di un’istituzione per le conversioni al cattolicesimo, tra Seicento e Settecento, premiata dall’istituto Sangalli di Firenze.
Mercoledì 24 febbraio alle ore 15 si svolgerà a Palazzo Vecchio, nella sala Macconi (ex sala Incontri) la premiazione dei testi vincitori del bando premio dell’istituto Sangalli per la storia religiosa. Tra i premiati, anche la nostra concittadina Samuela Marconcini, autrice de La Casa dei catecumeni di Firenze. Storia di un’istituzione per le conversioni al cattolicesimo, tra Seicento e Settecento. “L’opera – ci spiega l’autrice – cerca di ricostruire un quadro coerente e per quanto possibile completo del fenomeno delle conversioni al cattolicesimo che ebbero luogo a Firenze tra il XVII e il XVIII secolo, integrando in uno studio complessivo i risultati emersi da una serie di fonti che finora erano state utilizzate soltanto parzialmente. La curiosità principale che ha dato il via alla ricerca è stato il tentativo di capire perché a Firenze venne aperta una Casa dei catecumeni “soltanto” nel 1636, e a quali reali interessi rispondesse una decisione del genere. In mancanza di documenti relativi a questa fase iniziale della sua attività, preziosi informazioni sono arrivate dall’analisi della figura del fondatore padre Alberto Leoni e delle relazioni da lui stabilite nella Firenze dei primi decenni del Seicento, cosa che ha permesso di spostare successivamente l’indagine al periodo successivo, fino a tutto il Settecento.
Quello che è emerso è innanzitutto un notevole aumento delle conversioni di ebrei a partire dagli anni Settanta del Settecento, in coincidenza con il lungo regno di Cosimo III, cosa che in un primo momento ha fatto sospettare un coinvolgimento diretto da parte del granduca. In realtà, molto probabilmente la causa di questo aumento è da porre piuttosto in relazione con il fatto che nel 1667 l’istituto entrò in possesso dei beni di una nobildonna fiorentina, Virginia Ricasoli, vedova Scali, che aveva lasciato le sue sostanze alla Casa dei catecumeni, a patto che venisse offerta ospitalità ad infedeli di ogni provenienza, ampliando così a dismisura lo spettro di origine dei catecumeni ospitati, ma aprendo le porte anche a profittatori di ogni sorta. Tale situazione dà conto anche delle successive scelte operate dai granduchi lorenesi, che cercarono di restringere il campo di azione della Casa dei catecumeni fiorentina ai soli sudditi toscani, nel tentativo di verificare la fondatezza di ogni singolo processo di conversione. Se da una parte nella seconda metà del Settecento indubbiamente a Firenze si offrirono maggiori garanzie ai catecumeni, attraverso pratiche altrove sconosciute, come la concessione di un colloquio con i famigliari del catecumeno prima che la conversione divenisse irreversibile, è innegabile però che vi furono casi di abusi e ingerenze da parte di ecclesiastici, cui il potere statale non seppe o non volle opporsi. Tra questi possiamo inserire anche il caso di due fratelli, Ester e Salvadore, figli d’Isach Ravà e di Sincà (o Allegra), che si battezzarono a molti anni di distanza l’uno dall’altra, rispettivamente nel 1699 e nel 1710, all’età di nove e diciassette anni, nella Collegiata di Empoli, senza che nessuno dei genitori o parenti adulti li seguisse nella scelta. Il dato è di per sé significativo e meriterebbe ulteriori approfondimenti, allo scopo peraltro di verificare il riaccendersi di una presenza ebraica, necessariamente temporanea, nel borgo empolese”.
Samuela Marconcini
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