Settant’anni fa, il 31 marzo 1946 gli empolesi vennero chiamati alle urne per eleggere il Consiglio comunale. Furono quelle le prime elezioni del post fascismo; e furono anche le prime, nella storia d’Italia, nelle quali votarono le donne.
Come accadde in quasi tutti i comuni con meno di 30.000 abitanti, dove si votava con un sistema elettorale di tipo maggioritario, anche a Empoli comunisti e socialisti si presentarono con una lista unitaria, il «Blocco democratico della ricostruzione», a cui si contrapponeva la lista della Democrazia cristiana.
I programmi elettorali delle due liste erano in parte simili, come era del resto ovvio, essendo per tutti l’obiettivo primario il “tornare a vivere” nella normalità. Anche se il programma del Blocco accentuava gli obbiettivi perequativi e “classisti”: insisteva sulla necessità di una riforma della finanza locale con una tassazione fortemente progressiva per reperire le risorse e rilanciare i servizi del Comune. Il primo dei quali doveva essere l’apertura di una farmacia comunale per la distribuzione diretta dei medicinai ai cittadini più poveri.
Per il resto, c’era convergenza nei programmi delle due liste sugli obiettivi più urgenti: aprire mense popolari e garantire la provvista del latte; procurare una casa o almeno un tetto decente a tutti; si calcolava che mancassero nel comune almeno 1.500 vani. Si chiedeva perciò un intervento urgente dello Stato per finanziare i lavori delle abitazioni sinistrate e per potenziare il costituendo Consorzio edile per la ricostruzione.
Una scuola in ogni frazione, ripristinare l’acquedotto e le fognature e scavare pozzi nelle frazioni dove l’acquedotto non arrivava, strade e ponti essenziali e una rete di trasporto pubblico per le frazioni; la rete di illuminazione pubblica, la raccolta della spazzatura, costruire bagni e gabinetti pubblici, ripristinare le condizioni igieniche dei cimiteri. Insomma si ripartiva dall’indispensabile, dalle necessità minime di base della vita associata, sanità e istruzione al primo posto, assistenza alla maternità e all’infanzia, rispristino delle condotte mediche; riattivazione del Patronato scolastico.
Dalle urne uscì un consenso plebiscitario per il blocco Democratico della Ricostruzione. La lista delle sinistre (il Blocco comprendeva anche un candidato del Partito d’Azione e un indipendente) ottenne il 78,1% ed elesse 24 consiglieri; alla Democrazia Cristiana restarono poco meno del 22% e 6 consiglieri. La partecipazione fu altissima, superò il 91% degli aventi diritto. Il Blocco ottenne maggioranze schiaccianti in tutte le 22 sezioni elettorali in cui era suddiviso il territorio comunale (dieci nel capoluogo e 12 nelle frazioni), soprattutto nelle frazioni, dove risiedevano famiglie operaie e mezzadrili.
Il voto delle donne non si orientò in modo consistente sul partito cattolico, come molti temevano o speravano, soprattutto riguardo al voto delle donne contadine. Al contrario, la scelta a sinistra della grande maggioranza dei “capoccia” si portò dietro in modo compatto il voto di tutta la famiglia mezzadrile sconfiggendo la “concorrenza” del parroco.
Carlo Baccetti ©riproduzione riservata
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