Con il voto del 31 marzo 1946 Empoli ebbe una classe dirigente del tutto nuova e discontinua rispetto a quella del passato. (La conquista socialista del Comune, nel novembre 1920, era stata subito stroncata dalla repressione fascista dopo “i fatti” del marzo 1921). Uomini usciti dalle classi lavoratrici, legati profondamente alla popolazione di cui sapevano interpretare al meglio le esigenze, che prendevano il posto delle vecchie consorterie di un tempo “impastoiate di un sordido egoismo”. Andarono a sedersi sui banchi del Consiglio comunale autorevoli dirigenti dei sindacati degli operai e dei mezzadri e i fondatori di cooperative di produzione e della cooperazione di consumo. La continuità che veniva premiata era invece quella che passava lungo la linea della militanza antifascista, della Resistenza e del legame ideale e personale con l’amministrazione conquistata nel 1920. Tre dei consiglieri socialisti eletti nel 1946 avevano fatto parte del Consiglio comunale nel 1914 e nel 1920; tra questi un personaggio come Siro Fucini, noto e riconosciuto durante il regime come “il” maestro antifascista.
Quasi tutti i consiglieri comunisti, per parte loro, avevano svolto una intensa, coraggiosa e costante attività antifascista durante il ventennio, erano stati perseguitati, internati e condannati dal Tribunale speciale. Tra questi, naturalmente, i due futuri sindaci Gino Ragionieri e Mario Assirelli. L’essere stato antifascista militante resterà il principale criterio di selezione per le candidature del Pci, almeno fin al 1960. Le donne elette furono soltanto due, entrambe nella lista del Blocco, la “signorina” (come veniva definita nei verbali del Consiglio) quarantenne Gina Bini, impiegata della società dei telefoni, e la maestra Ada Tofanelli, socialista, eletta come rappresentante dell’Unione donne Italiane (UDI).
La minoranza democristiana che sedette in quel primo Consiglio aveva la rappresentanza esclusiva del mondo cattolico: il suo voto era raccolto essenzialmente su base confessionale. In termini di classe era soprattutto un voto medio e piccolo borghese: impiegati, insegnanti, commercianti, coltivatori diretti, medici e altre figure di professionisti e imprenditori, anche se non mancavano nell’elettorato democristiano i lavoratori e “la povera gente”.
In sintesi, con quelle elezioni l’antifascismo divenne cultura di amministrazione e di governo. Esse furono decisive perché disegnarono la geografia elettorale del territorio comunale e fondarono l’egemonia della sinistra, destinata a marcare la fisionomia politica del comune nei decenni successivi.
Carlo Baccetti ©riproduzione riservata
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