Negli anni compresi tra la prima e la seconda guerra mondiale la città di Empoli è stata protagonista di una significativa espansione urbanistica con la costruzione di nuovi quartieri residenziali e industriali le cui vie richiedevano – necessariamente – di essere denominate.
Al fine di definire la toponomastica comunale in vista del VII censimento generale della popolazione, nei primi giorni del 1931 l’amministrazione comunale empolese invitò Vittorio Fabiani, allora preside della R. Scuola “Leonardo da Vinci”, e il vice podestà Cav. Emilio Comparini a proporre i nomi per una serie di strade di nuova costruzione. Il ritrovamento all’interno del carteggio comunale [ASCE, Postunitario, 3/415 (1932)] dell’interessantissimo fascicolo relativo alla definizione della nuova toponomastica stradale ci permette di ripercorrere il dibattito nato intorno alla scelta – non del tutto scontata – di alcuni nomi di cui daremo conto nei prossimi interventi del blog.
L’ampliamento della città oltre i confini dell’antico castello empolese determinò la progressiva occupazione delle aree edificabili comprese tra le principali direttrici viarie e i limiti costituiti dalla linea ferroviaria a sud e il corso dell’Arno a Nord. Ne è un esempio la costruzione del quartiere intorno alla punta di S. Rocco, al quadrivio delle odierne via degli Orti – via Chiarugi – via della Repubblica e la vecchia via limitrofa all’Arno passante per Avane e Pagnana, oggi via Oberdan, in prossimità dello scomparso oratorio, appunto, di S. Rocco. L’area fu oggetto di un piano di edilizia pubblica agevolata promosso dall’Istituto empolese case popolari (Iecp) che vide la costruzione di due file di abitazioni su progetto dell’ing. Alfredo Torrini dell’Ufficio Tecnico del comune: un primo blocco di case popolari fu compiuto nel settembre 1921, mentre il secondo blocco fu terminato nell’agosto del 1922 [cfr. Archivio delle Case Popolari di Firenze (Inventario 1909 – 1986), a cura di E. Bettio e R. Romanelli, 2002-2003, p. 1216 e sgg.]. Gli alloggi, destinati in origine ad uso abitativo popolare o al ceto impiegatizio, si presentano ancora oggi nella loro semplicità: le facciate spoglie rimandano all’essenzialità dell’organizzazione interna degli spazi.
Nel 1931, al momento dell’indizione del nuovo censimento, la strada dove erano state costruite da pochi anni le abitazioni popolari era ancora identificata semplicemente come la «via delle case popolari a S. Rocco» e quindi necessitava di una nuova denominazione. Fabiani e Comparini avanzarono la proposta di intitolarla all’industriale empolese Guido Dainelli, figura a tutt’oggi poco conosciuta ma che fu tra i protagonisti della siderurgia italiana, come evidenziano le poche notizie ricavabili dalla rete ( si veda la scheda nel Fondo Vilfredo Pareto). Per questo merita di essere riportata la nota biografica trascritta da Fabiani e Comparini allegata alle proposte odonomastiche inoltrate al Commissario del Comune di Empoli il 17 febbraio 1931.
«Guido Dainelli (sec. XIX-XX)
Trascriviamo quanto fu scritto di lui in un n° del giornale livornese “Il Telegrafo”. La via che proponiamo d’intitolargli rimane presso la strada che conduce a S. Maria a Ripa, suo luogo natio.
“L’Ing. Prof. Guido Dainelli, cavaliere del lavoro, fu un uomo modesto, di raro ingegno e grandissima operosità, il cui nome resta legato con lo sviluppo della siderurgia nazionale. Egli era nato a S. Maria a Ripa (Empoli) nel 1845. Dopo aver frequentato, sempre primo tra i primi, la Scuola di Ingegneria di Firenze, entrò per concorso nel Corpo Reale delle miniere; e quindi, vittorioso in un altro concorso bandito dalla Provincia di Firenze, si recò, nel 1867 a Parigi in quella “Scuola imperiale centrale di arti e manifatture”, dalla quale, nel 1871, uscì classificato primo tra i 132 laureati: e questo fu per lui straniero un titolo invidiato di grande onore. Tornò quindi a Firenze quale professore della Cattedra di Cinematica nell’Istituto Tecnico Provinciale. Desiderato poi di applicare il tesoro delle sue cognizioni, tanto volle e fece che fondò la “Società per l’industria del ferro”, la quale diede vita alla Ferriera di S. Giovanni Valdarno.
Nel 1875, rilevando le officine della Perseveranza, fondò lo “Stabilimento metallurgico di Piombino” – poi delle Ferriere Italiane – al quale come, direttore tecnico ed amministrativo, consacrò tutte le sue energie, veramente preziose, per quasi dieci anni.
Volle poi promuovere ed iniziare in Italia un’industria che v’era sconosciuta, quella delle bande stagnate: e per merito suo nel 1891 si costituì in Firenze la “Società della Magona d’Italia” con uno stabilimento modello in Piombino.
Sempre per l’iniziativa di lui, volenteroso d’emancipare l’Italia dai prodotti siderurgici stranieri – ed ancora in questo egli seppe compiere opera economica e politica insieme – nel 1897 si costituì la “Società degli alti forni e Fonderie di Piombino” con uno stabilimento che rivaleggiò poi vittoriosamente per importanza, coi maggiori.
La Magona d’Italia e gli Alti Forni lo ebbero direttore genialissimo nei loro primi passi. La rada di Portovecchio di Piombino, che era brulla e deserta, divenne un esteso paese con grandi opifici, ponti a mare, case, palazzi e grandiose officine piene di potenti macchine.
Le imprese industriali volute dal Dainelli portarono un grosso movimento a terra, alle ferrovie e al mare: ci sono sempre tartane, bastimenti e grossi vapori di combustibili.
Occuparono e occupano molte persone del paese e migliaia e migliaia di operai. E tutto ciò si deve all’iniziativa del Dainelli.
Cavaliere ed ufficiale della Corona d’Italia, meritò la medaglia d’oro di prima classe all’Esposizione di Milano (1881): nel 1904 si ebbe dal Presidente della Repubblica francese la Croce di Cavaliere al Merito Agricolo; e fu prescelto giurato nella Sezione straniera di metallurgica all’Esposizione mondiale di Parigi. Degno premio alla sua operosità meravigliosa, nel 1904 venne fregiato della Croce al merito del Lavoro.
Negli ultimi anni dopo tanta fervida operosità, egli viveva tutto a sé, parte dell’anno trascorrendo a Santa Maria, parte a Piombino, la piccola cittadina degli Appiani, che, per le sapienti iniziative di lui, si avviò ad affermarsi città industriale di prim’ordine.
Ma, nonostante l’eccessiva modestia, nonostante il desiderio suo grande di appartarsi e di rimanere nascosto, egli era continuamente richiesto dei suoi consigli e la stampa, unanime, rimpianse la scomparsa di lui, che seppe aggiungere, con la sua vita, uno stupendo capitolo al libro che ha per motto: “Volere è potere”. Fu più volte consigliere comunale a Empoli ed a Piombino e Consigliere Provinciale di Pisa per dieci anni.
Vita laboriosa e preziosa fu dunque quella del Dainelli. Per il lavoro egli visse, per il lavoro fu amato e ammirato da dipendenti, da amici, da emuli. Di lui, il cui nome figura nell’album d’onore degli italiani illustri e benemeriti, di lui che B. Amici chiamò – e giustamente – “egregio veterano del lavoro simpatico, gentile, colto e nobile”, di lui esempio preclaro di costanza e tenacia, di volontà, uniche più che rare, alla gioventù d’Italia, la nostra Empoli si gloria come di figlio predilettissimo».
Elisa Boldrini©riproduzione riservata
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