L’inizio dei lavori di consolidamento della “ex casa del fascio” di Santa Maria offre l’occasione per conoscere meglio le vicende che accompagnano questo edificio, ricostruite dall’arch. Francesca Capecchi.
La sua costruzione è strettamente legata alle vicende storico-politiche del ventennio. Dal punto di vista urbanistico il 1928 fu un anno cruciale, poiché segnò la completa presa in possesso della gestione amministrativa delle città da parte dei podestà, che misero in cantiere nuove iniziative volte ad affermare il regime in maniera incondizionata anche nell’organizzazione e nell’immagine urbana.[1] Nel discorso ai deputati del 1° gennaio 1928, Mussolini sottolineava il carattere celebrativo dell’architettura di regime, che doveva esprimersi con un linguaggio tale da “eliminare a grado a grado ciò che è dovuto ad eccesso di fantasia, o di ubbidienza al dogma (…) per lasciare nei secoli l’impronta del tempo fascista”.[2]
L’architettura (e con lei l’urbanistica) cioè, mentre da un alto doveva restituire il primato al classicismo ed alla sua purezza di proporzioni, osservando principi di logica e razionalità e nobilitando “con l’indefinibile e astratta perfezione del puro ritmo la semplice costruttività che da sola non sarebbe bellezza” [3], dall’altro aveva il compito di esprimere l’idea fascista con uno stile “moderno nazionale”. In sintesi la scelta di fondo di perseguire la razionalità della forma doveva veicolare i valori del fascismo, coniugando classicità e modernità.
Il fascismo, come in genere tutte le dittature che hanno eliminato ogni opposizione e piegato al proprio volere gli apparati dello Stato, fu in grado di esprimere capacità operative inedite per il giovane Stato italiano e di realizzare, non solo nelle grandi opere ma anche nelle architetture “minori” come la nostra casa del Fascio, le indicazioni imposte dal Capo.[4]
Il nostro edificio dunque fa parte della produzione “corrente” dei primi anni Trenta, quando il linguaggio architettonico “moderno” aveva già conosciuto la sua diffusione e comparivano così le nuove attrezzature, i nuovi servizi, i nuovi edifici pubblici delle organizzazioni fasciste: i dopolavoro, i balilla, le case del fascio.
La costruzione
Il 29 marzo del 1930 il Podestà di Empoli rilasciava al sig. Italo Taddei, in qualità di presidente del circolo fascista Filippo Corridoni[5] di Santa Maria a Ripa, il permesso per costruire “un nuovo fabbricato composto di un solo piano con n° 5 ambienti in località S. Maria lungo la via Statale Firenze – Pisa”.[6] L’autorizzazione riguardava la costruzione del circolo i cui ambienti dovevano avere in parte uso ricreativo, in parte culturale.[7]
Allegato alla richiesta troviamo il progetto, composto dalla pianta e dal prospetto principale rappresentati in scala 1:50. La planimetria dell’edificio è un rettangolo delle dimensioni di 10 per 15 metri; l’accesso dal fronte principale immette in un vano che porta la dicitura “buffet”, da cui si passa in un altro, destinato al biliardo, con accesso sul fronte tergale. Sempre dal buffet, si passa a sinistra ad una stanza di dimensioni quadrate, a destra ad un salone che occupa tutta la profondità dell’edificio. Dalla stanza del biliardo si accede da una parte al ripostiglio e alla segreteria, dall’altra al suddetto salone. Il servizio igienico esterno è posto sul prospetto tergale.
Il fronte principale è molto semplicemente organizzato da lesene alle estremità, e presenta tre specchiature riquadrate da cornici modanate, dove trovano posto le aperture; è concluso da una fascia di coronamento, anch’essa delimitata da modanature, che porta l’iscrizione “CIRCOLO NAZIONALE FASCISTA S. MARIA A RIPA”.
L’edificio presenta quindi caratteristiche di estrema razionalità e semplificazione linguistica, tanto è vero che l’unico elemento decorativo è rappresentato dalle cornici modanate, le quali tuttavia si caricano di significato perché ben si prestano ad alludere ai fasci littori: gli emblemi del littorio, come i motti del duce, costituivano un motivo ricorrente delle case del fascio ed erano spesso declinati con una maggiore monumentalità, come ad esempio accade nella Casa del Balilla a Pistoia o nella Casa del Littorio di Pescia.
[1] G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo, Torino, 1989, p. 5. A Empoli la carica podestarile fu assegnata ad esponenti piccolo e medio borghesi: primo podestà fu Vitruvio Cinelli, a cui seguì, nel febbraio 1931, il capitano medico cav. Dino Masi. Questa scelta dimostra la “progressiva militarizzazione della vita civile” e “l’esaltazione dei valori nazionali e militari”.
[2] Fece eco immediata a Mussolini il segretario nazionale del Sindacato nazionale fascista degli architetti: vedi G. Ciucci, Gli architetti cit., p. 11.
[3] Architettura, «Rassegna italiana», IX, serie II, vol. XVIII, dic, 1926, fasc. 103, p. 40, citato. da G. Ciucci, Gli architetti cit., p. 72.
[4] Vedi il discorso inaugurale di Mussolini alla Prima Esposizione quadriennale d’Arte Nazionale a Roma (1931) ed il pronto allineamento delineato nelle cronache artistiche de «L’Ambrosiano» da P.M. Bardi, il quale dichiara che agli architetti “spetta il compito dell’illustrazione delle gesta mussoliniane”, ivi, p. 108.
[5] Il circolo era significativamente intitolato a Filippo Corridoni, in giovinezza di idee mazziniane e militante del socialismo rivoluzionario. Allo scoppiare della prima guerra mondiale, richiamandosi alle idee di patria e di dovere, si schierò a fianco di Mussolini a favore dell’intervento. Fattosi inviare al fronte, si mise alla testa di un gruppo di volontari e morì in trincea sul Carso il 23 ottobre 1915.
[6] Troviamo Italo Taddei figlio di Giuseppe, nato nel 1903, di professione impiegato con grado militare di soldato nell’elenco degli iscritti al PNF-Fascio di Empoli negli anni 1921-26, D. Madiai, Il regime fascista a Empoli, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di lettere e filosofia, relatore prof. Gabriele Turi, a.a. 1986-1987, p. 255.
[7] Archivio Storico Comunale di Empoli, Postunitario, Permessi di costruzione, 1930.
© Arch. Francesca Capecchi
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